Esami per valutare la carenza di ferro: cosa c’è da sapere

La carenza di ferro è la più comune carenza nutrizionale: colpisce circa il 25% della popolazione mondiale e si verifica quando la quantità assorbita dal nostro corpo non soddisfa più il fabbisogno giornaliero richiesto. Ciò può dipendere sia da un’assunzione inadeguata nella dieta, sia da condizioni patologiche che possono provocarne una perdita.

Di quanto ferro abbiamo bisogno

Il ferro è uno dei minerali essenziali per la salute del nostro organismo ed è coinvolto nel trasporto di ossigeno ai tessuti, nel mantenimento del sistema immunitario, nei processi di respirazione cellulare, nel metabolismo degli acidi nucleici e nel mantenimento dell’umore. Circa il 60-80% della quota di ferro introdotta con la dieta è utilizzata per la produzione di emoglobina e mioglobina. Il ferro circola nell’organismo legato a proteine specifiche che servono per immagazzinarlo (ferritina) e per trasportarlo (transferrina, lattoferrina) perché, se fosse libero, sarebbe alquanto tossico e dannoso.

In generale, la dose giornaliera raccomandata di ferro è di 10 mg per gli uomini e 18 mg per le donne (il loro fabbisogno è maggiore poiché durante il ciclo mestruale perdono regolarmente ferro ematico).

Conseguenze di una carenza di ferro

Bassi livelli di ferro compromettono il normale trasporto di ossigeno e, di conseguenza, si verificano maggiormente stanchezza, affaticamento o difficoltà di concentrazione e, a lungo andare, abbassamenti della soglia del dolore indebolimento del sistema immunitario. Una riduzione dei livelli di ferro andrebbe a gravare anche sulle condizioni di benessere generali: il ferro interviene infatti nella sintesi di neurotrasmettitori come la dopamina, che stimola piacere e motivazione, e la serotonina, ormone della felicità.

I sintomi che suggeriscono una carenza di ferro sono generalmente vaghi e aspecifici: possono variare a seconda della gravità dell’anemia, dell’età e dello stato di salute e spesso vengono ignorati o erroneamente collegati ad altre patologie. L’astenia, ad esempio, che è il
disturbo più frequentemente riferito e comune al 20-30% delle prime visite mediche, viene raramente preso in considerazione nei soggetti non anemici.

La carenza di ferro è, per questo motivo, una sindrome spesso sottovalutata, sotto diagnosticata e sotto trattata. La maggior parte delle persone con carenza di ferro ne viene a conoscenza solo dopo aver effettuato controlli specifici o dopo circa tre mesi dalla comparsa dei primi sintomi. 

Diagnosi di carenza di ferro: tutti gli esami da effettuare

In presenza di sintomi o disturbi riconducibili alla carenza di ferro, è bene rivolgersi al proprio Medico che, dopo una attenta anamnesi, esegue la visita e, se necessario, prescrive specifiche analisi del sangue e/o indirizza il paziente da Specialisti. Sono disponibili oggi molti esami di laboratorio, sia biochimici che ematologici, per la valutazione della carenza di ferro.

Gli esami biochimici riguardano principalmente la sideremia, il dosaggio della transferrina e la ferritinemia, esami utili anche per monitorare l’evoluzione di alcune patologie del sangue. Gli esami ematologici, invece, sono basati sulle caratteristiche dei globuli rossi valutate morfologicamente allo striscio periferico o come indici eritrocitari strumentali quali MCV e l’ampiezza della distribuzione dei volumi eritrocitari (RDW).

Esami ematologici

Uno dei primi esami che vengono prescritti per valutare la carenza di ferro è proprio l’emocromo, un esame del sangue completo che determina:
•i livelli dell’ematocrito (HCT) che esprime il volume dei globuli rossi rispetto al volume del sangue totale e deve essere compreso tra il 37% e 47% nelle donne e tra il 40% e 55% negli uomini;
•il livello di emoglobina, che deve essere >12 g/dL per le donne e >13,4 g/dL per gli uomini;
•il numero assoluto di globuli rossi (RBC), che deve essere compreso tra 4 e 5,2milioni per microlitro di sangue per le donne e tra 4,5 a 5,8 milioni per microlitro di sangue per gli uomini:
•gli indici eritrocitari.

Esami biochimici: ferritinemia, sideremia, transferrinemia

La ferritina è la principale proteina preposta ad immagazzinare i depositi di ferro nell’organismo, presente in tutti i tessuti e in particolare nel fegato, nella milza, nel midollo osseo e nei muscoli scheletrici.
Il dosaggio della ferritina nel sangue (ferritinemia) risulta fondamentale per valutare la quantità di ferro a disposizione nell’organismo. Valori di ferritina inferiori alla norma potrebbero, infatti, indicare uno stato di carenza di ferro.

La sideremia è un esame che misura la quantità di ferro legato alla transferrina, presente nel siero del sangue. La transferrina è la proteina che funge da trasportatore di ferro dall’intestino, dove viene assorbito, alle cellule del nostro organismo (tra cui quelle responsabili dell’eritropoiesi).
In genere, l’esame viene prescritto dal Medico per valutare uno stato di aumento o diminuzione dei valori del ferro nell’organismo che potrebbero variare in alcune condizioni.

Il dosaggio della transferrina o transferrinemia misura, invece, la quantità di ferro presente nel sangue sotto forma di transferrina, la più importante proteina per il legame e il trasporto del ferro nell’organismo.
I livelli di transferrina possono diminuire in caso di malattie del fegato e, anche, in relazione ad un regime alimentare caratterizzato da un basso apporto proteico.
Valori anomali potrebbero indicare un mal funzionamento dell’assorbimento del ferro.

Migliorare la carenza di ferro

Assumere alimenti ricchi di ferro facendo attenzione ai giusti abbinamenti, è un modo semplice e alla portata di tutti per migliorare il proprio stato di benessere.
Attenzione però: in condizioni patologiche o insufficienze gravi, è sempre importante fare riferimento al proprio Medico curante per valutare la migliore strategia terapeutica.

Non trascurare i segnali che manda il tuo corpo: effettuare controlli periodici di routine potrebbe identificare in tempo uno stato di carenza di ferro.

 

Bibliografia

1.Istituto Superiore di Sanità.